Di perfezionismo, social, cambiamenti e famiglia

Questo sarà un altro dei post lunghi, molto lunghi, dato che dovrà sintetizzare, volente o nolente, gli ultimi anni di (semi)inattività.

Innanzi tutto, come potete vedere, questo non è più ciò che un tempo era il mio sito. Ho dovuto pormi la seguente domanda: “Cos’è importante negli ultimi tempi?”. “Un alto FTE e un basso TTM”. Il sito era molto bello, seppur di vecchia architettura. Anche molto funzionale. Ma aveva un problema, comune nelle opere di molti creativi, che è molto ben spiegato in questo post di levelsio:

Noi creativi abbiamo un problema comune: finire. Musicisti, scrittori o sviluppatori, siamo perfezionisti e i progetti non sono mai semplicemente “completati”. C’è sempre una parte extra da comporre, un capitolo extra da scrivere, o quella funzione extra da aggiungere. Poi quando i nostri progetti sono pressoché alla fine, ce ne dimentichiamo e passiamo al successivo, senza nemmeno pubblicarli. Ci piace la sensazione di iniziare qualcosa di “nuovo”, odiamo la sensazione di finire qualcosa di “vecchio”.

È inconsciamente la stessa conclusione a cui ero arrivato qualche giorno fa, mentre completavo le ultime modifiche al progetto SkyDubh, per ora in gran parte privato. Un motivo per il quale ho smesso di postare è stata la sensazione di poter fare altrettanto altrove. Twitter, Facebook e i loro simili sono tutti palliativi della comunicazione pseudo-social. Certo, si può scrivere, e spesso si può avere una grande esposizione mediatica in caso di pagine promozionali, ma se andiamo al succo cos’abbiamo? Prodotti sviluppati per affondarne altri, strafinanziati da entità pubbliche, volti non alla comunicazione o alla socializzazione, bensì all’acquisizione di informazioni o all’acquisizione di cavie da laboratorio. Qualunque messaggio vero, non rivolto a masse enormi, è solo rumore di fondo mal accetto. Così come Twitter nasce col semplice intento di spostare il traffico dagli SMS a internet (avete mai notato che il limite di caratteri nei messaggi Twitter e SMS è lo stesso? No?), la maggior parte della comunicazione su internet è diventata superficiale, trattante argomenti superficiali in modo superficiale. Dato il calo di messaggi scritti su Facebook, di cui l’azienda risente economicamente, hanno creato monitoraggio e analisi delle battute scritte e cancellate nei messaggi mai inviati (intendo caratteri scritti, non freddure). Tradotto: se scrivete un messaggio nell’area di testo, ma poi decidete di non pubblicarlo per qualsiasi motivo, Facebook ne conserva una copia e la studia per capire come invogliarvi a pubblicarlo.

Se a questo uniamo tutti i trascorsi di PRISM, Locksmith e compagnia cantando, cosa resta? Il buon vecchio blog. “Ma lo sviluppo richiede tempo, anche la scrittura e la formattazione, e il nuovo design…”. Si può però utilizzare un CMS OpenSource. “Ma dagli USA la connessione spesso è lenta, anche in base agli orari, e comunque tutto il traffico è monitorato, che si fa?”. Si porta tutto a casa, in Europa. Avete mai notato quanto Facebook sia rallentato negli ultimi anni, ma in realtà qualunque cosa sia servita dall’America? Io si. Il mio sito che prima rispondeva con un tempo di 50-60 ms, è passato a un tempo medio di risposta di oltre 182 ms. Significa che a parità di provenienza e arrivo, i tempi di percorrenza si sono triplicati, se non di più. A cosa è dovuto tutto ciò? La risposta la lascio a voi, tanto è banale.

Questa che vedete è la risposta, temporaneamente con una grafica che riterrei oscena, seppur graditamente minimalista. Oggi come in passato ho dovuto scegliere tra apparenza ed essenza, e sebbene in passato abbia sempre puntato alla perfezione, al lancio perfetto, oggi ho scelto l’essenza. L’apparenza può raggiungerla dopo, non c’è fretta. E non importa la mole immensa di lavoro che ho dovuto affrontare per convertire i contenuti del mio CMS personale in un formato OpenSource: gli sforzi saranno ripagati appieno grazie alla gestione dei contenuti molto più rapida. Perché non c’è storia: se non si tratta di un lavoro importante o di un progetto singolo, nessun lavoro fatto da una persona può battere il lavoro sviluppato da un team per anni. Sebbene i miei CMS abbiano sempre resistito a tutti gli attacchi e ai tentativi di infiltrazione, il TTM è troppo dannatamente lungo. Ricordate i miei post precedenti riguardo lo sviluppo del nuovo sito? Così come diceva levelsio, è pronto, da mesi (se non anni), ma non è mai “semplicemente” finito, al punto che ad oggi non vedrà mai la luce. E anche i micro-blog, WoW e Code, saranno inglobati in questo, in forme diverse. Stessa sorte toccherà al progetto SkyDubh che, nonostante il CMS di mia fattura passerà dalla versione splash-screen alla versione 3.0 senza che il mondo ne sia venuto al corrente. Ma questo non è l’argomento di punta odierno. Cito nuovamente levelsio:

[…] i progetti non sono mai semplicemente “completati”. C’è sempre una parte extra da comporre, un capitolo extra da scrivere, o quella funzione extra da aggiungere. Poi quando i nostri progetti sono pressoché alla fine, ce ne dimentichiamo e passiamo al successivo, senza nemmeno pubblicarli.

Ci sono tanti, tantissimi progetti incompiuti, o compiuti ma non pubblicati. O programmi scritti, riscritti, ultimati, usati ma mai pubblicati. Così come canzoni scritte ma mai ascoltate. Così come testi scritti ma mai letti. È un peccato. Una trappola apparentemente senza uscita da cui voglio disperatamente tirarmi fuori, con la risolutezza che mi si conviene. E ho intenzione di cambiare da subito, modificando nettamente il mio atteggiamento nei confronti di lavoro e di locazione. Tutti gli scritti, i brani, i software e i disegni mai rilasciati saranno pubblicati in toto. TUTTI. Senza alcun ma.

Avendo la sfortuna di esser nato italiano ho avuto un handicap aggiuntivo, le orde di demotivatori che infestano il paese. Come già precedentemente scritto nel mio whoami, sono sempre stato convinto che sarebbero dovuti essere i criminali ad andarsene, non i giusti. Il mio più grande sbaglio è quindi stato quello di “voler cambiare il mondo, tanto il mondo non si cambia” o, usando la cortese prosa di Uriel Fanelli:

[…] prende in considerazione la vulgata per cui “la maggioranza vuole questo, se vuoi cambiare devi convincere la maggioranza: è la democrazia, Darling”.

Che sorpresa ho avuto alla scoperta della risposta data ai miei dubbi e le mie convinzioni in un saggio del 1849, Disobbedienza civile, scritto da una persona morta nel 1862, Henry David Thoreau:

Di fatto, non è dovere di un individuo dedicarsi all’estirpazione del male, anche del più grande; giustamente, egli potrebbe avere altre faccende che lo occupano; ma è suo dovere, almeno, tenersene fuori e, se non vi pensa oltre, non dargli il suo supporto praticamente

Di fatto, ci sono paesi che stanno sviluppando intere città per attirare talenti. Intere città adattate per accomodare freelancer, spazi creati per il colavoro. Dall’altra parte per tutta risposta abbiamo solo dei “trovati un lavoro di giorno”. E quando ti chiedi “ma cos’è che mi tiene qui?” la decisione l’hai già presa. Se vivere costa, e i miei bisogni possono essere soddisfatti ovunque, tanto vale vivere dove mi conviene. Perché non devo niente a nessuno. Il trasferimento è anche molto semplice, sebbene il ritorno non lo sia mai:

The experience of living abroad was a huge, adrenaline-pumping high. And coming home, a floor-shattering free fall.

So upon coming home, surrounded by familiar faces and places, I began to find comfort again in those old familiar things. Simultaneously, since I myself was no longer the most familiar thing, I began losing touch with my Self. And so starts a downward spiral off a euphoric high. This is the most shocking part of coming home.

I felt flat. Anxious. Insecure. Lost. A general uneasiness and sense that something was missing. I was uncharacteristically apathetic toward everything. It feels like the worst hangover ever.

Upon coming home, I noticed how quickly I began to compare myself to others. There’s an uneasy heaviness in this. […] just being in the presence of people who know me back at home, I feel more influenced.

While traveling, I felt zero need to impress anyone but myself. And with no set agenda, I was able to do whatever the hell I wanted to do.

This is why travel is sometimes referred to as a drug. Similar to drugs or alcohol, travel has the power to temporarily remove all inhibitions and superficial worries, heighten the senses, and if only for a moment, allow one to ignore ego and feel a sense of oneness with the world. For me, travel evokes a sense of aliveness that is unparalleled to anything I’ve ever experienced.

Surrounded by people who know nothing about me, I had the opportunity to be whoever or whatever I wanted with each new country, city, or hostel. But instead of creating some false persona, I just acted like myself. With no inhibitions. no reservations, and no superficial bullshit there’s only one thing left: the purest feeling of being alive.

Something funny happens when you accept who [you] are and are free to do whatever you want. First, you feel at peace because by doing only things you want to do, you’re being true to yourself. Second, like-minded people enter your life as if they’ve miraculously dropped out of the sky and placed purposefully [in] front of you.

And what if, within the prisons of routine and familiarity, I have a hard time remembering that? Well, maybe it’s time to pack a bag and hit the road again.

C’è del vero in quanto scritto, avendolo vissuto di persona posso confermarlo. Anche quello è stato forse un grave errore: lo smettere di muovermi all’estero annualmente. Aria diversa, facce diverse, pensieri diversi aiutano la persona a capire se stessa. Pensando alla Germania, la libertà di essere se stessi è fantastica. Commetti illegalità? No? Allora puoi farlo. A prescindere da cosa sia. A prescindere da cosa tu dica, se è legale puoi. L’aria pesante di casa, le parole non dette, i pensieri inespressi provocano un enorme senso di smarrimento, una fortissima crisi di identità. L’essere intelligenti viene fatto vivere come un fardello, un peso dal quale non è possibile esimersi, perché in patria non sono gli idioti a dover imparare, bensì gli intelligenti a doversi abbassare al livello degli idioti per tenerli mansueti, a spiegarsi nei minimi termini. Ma come si fa a parlare di multiverso e massimi sistemi con persone che al massimo arrivano alla valutazione delle gradazioni di Tavernello? Non si può, ma non per colpa della loro ignoranza, bensì per colpa tua dato che “non sei stato in grado di spiegarti”. Contrapposto a tutto questo comportamento nazionale ci sono decine di paesi pronti ad accogliere a braccia aperte nuova linfa vitale e rimuovere i parassiti tanto odiati in patria. Eppure sono ancora qui. Siamo ancora qui.

Il quanto però, almeno questo, è tutto da vedere. Sebbene sia alquanto vecchiotto per emigrare senza problemi, è giunto il tempo di agire e reagire, di muoversi e pubblicare, di spazzar via ogni dubbio dalla strada, e di dar vita alle creazioni “perfette o meno che siano”. Da subito.

Anche il comparto relax ne subirà le conseguenze: ho la ferma intenzione di ricominciare a comporre (forzatamente se necessario), così come l’intenzione di chiudere definitivamente il clan Demons of Razgriz. Forse rinascerà in forma diversa sotto nuove spoglie, o forse no, ma non ritengo più giustificato il lottare da solo contro mulini a vento. Non più.

Contravvengo alla mia regola del non pubblicare cose troppo personali o identificative, e vi mostro i miei nonni, nel giorno del loro 60° anniversario di matrimonio. Sono stati per me dei secondi genitori sin dal giorno della mia nascita e sono recentemente scomparsi nel giro di un anno l’uno dall’altra lasciando in me un vuoto davvero incolmabile. Ogni azione, ogni parola, porta con se il loro ricordo. Il mio essere così simile a lui, poi, non fa altro che esacerbarne la perdita. Poco fa ho mentito spudoratamente. Devo assolutamente e decisamente migliorare la mia vita e quella di chi mi sta intorno, anche se significasse buttare tutto (il poco che si è ottenuto) all’aria per assicurare un futuro migliore a me e la mia famiglia. Lo devo a qualcuno.

Lo devo a loro.

Riflessioni allo Specchio

Da un po’ di tempo, circa un mesetto, sto avendo parecchi problemi con la compagnia fornitrice di elettricità. Hard disk bruciati, UPS stremati che commettono seppuku, lavoro perso a caso tra un salvataggio e l’altro a cui non arrivo per blackout. E sta comportando qualcosa che non mi aspettavo, su cui non mi soffermavo da tempo, e per il quale non riesco a perdonarli: mi sono trovato a riflettere.

Per quanto all’apparenza banale, è qualcosa che sono riuscito ad evitare per anni. Ma oggi, qui ed ora, non potendo uscire per lavorare (febbre), non potendo leggere a causa del buio, e non potendo giocare o chiacchierare con qualcuno, ho iniziato a pensare. Male, molto male.

Sono passato dal blog, per vedere se ci fossero stati aggiornamenti, a parte i soliti spammer che boh, contenti loro… Ho letto una frase di chiusura, al termine di un lungo post del 2006: “Cos’è che sto cercando?”

Mi sono reso conto che, senza fare citazioni dirette, questo paese mi ha trasformato finalmente in un apatico come solo la DDR ne è stata in grado, solo che la mia condizione come quella di moltissimi italiani è peggiore. Sarei dovuto scappare quando ne ho avuto occasione ma si sa, sono testardo, le cause perse non mi hanno spaventato. E così sono morto, combattendo una causa persa in partenza che nessuno poteva vincere. Oggi, forse, qualcosa sta cambiando, ma io e molti altri ci troviamo nel mezzo, tra quelli che stanno lottando e cambiando questo paese e tra quelli che si aggrappano mani, braccia e gambe, saldi sul loro status quo. E io? Io, mi sono chiesto? Con chi sto, io? Cosa sono, io? Cosa sto cercando, io? Rifacendomi al vecchio detto, mi sono chiesto: “sto forse aiutando e/o sono parte della soluzione?” — “No, almeno non più.” — “E allora sono (diventato, mio malgrado) parte del problema.”

Il realizzarlo, mi ha stroncato. Ha stroncato qualunque mio processo cognitivo. Tutto ha trovato una risposta. Perché sono infelice? Perché sono diventato apatico, parte del problema. Perché mi rattristo se X o Y si divertono senza di me facendo questo o quello? Perché sono diventato apatico, parte del problema, e fanno qualcosa che io non posso più fare: coltivare delle passioni. Le mie passioni sono inaridite, secche, stanche e morte. Non suono da tantissimo tempo, provo solo agonia nel pensarci, e fino a qualche anno fa era per me ragion di vita. Diavolo, ho vinto fior di concorsi internazionali di composizione, non ero manco male. Eppure non ricordo neanche più quand’è stata l’ultima volta in cui ho composto un pezzo, brutto o bello che sia.

Certo, ho coltivato altre passioni, ho lavorato, ho curato una relazione stabile con la mia ragazza, però… davvero stiamo dicendo che video editing e gaming montage era esattamente ciò che volevo fare come passatempo? Davvero mi state dicendo che nonostante i miei ottimi scritti, sarei finito a scrivere script per un mio canale YouTube? Davvero, tra tutti i musicisti della demoscene che conosco, molti ne vivono, due hanno fondato una casa discografica, e io sono l’unico che non suona più nemmeno per divertimento? Cosa c’è di diverso tra me ed il resto del mondo?

L’Italia. Patria dei demotivatori. Di quelli che “lo fai solo per farti notare”, di quelli che “trovati un lavoro di giorno”, di quelli che “si, vabé, mo’ tra tutti i musicisti/disegnatori del mondo vinci proprio tu”. Non importa se effettivamente si, ho vinto proprio io, perché irrimediabilmente, anche se supponiamo il contrario, arriva per tutti il tempo in cui si viene spezzati dal peso dei demotivatori. L’unica speranza è lasciarli al loro piccolo stato ed emigrare. Eppur son sempre tornato, convinto di dover cacciare i ladri dall’Italia, del non dover più lasciar accadere che i migliori abbandonassero la terra in cui sono nati a causa della merda che li circonda. Avevo ragione, ma quanto avevo torto. È ancor facile liberarsi dai criminali, ma come puoi mai liberarti dal provincialismo? Dalle accuse di populismo? Dai “meglio pedofilo che ricchione”? Dagli “in fondo in fondo era un po’ puttana e ci stava, altro che stupro”? Da “l’evasione fiscale è un sistema legittimo per liberarsi dall’oppressione fiscale”? Dal “non mi preoccupo, perché in fondo mi rimane Dio”? Dal “tutta colpa dell’Euro”? Dal “tutta colpa della Merkel”? Dal “si stava meglio quando si stava peggio”? Dal “Dux Mea Lux”? Dal “questi cazzo di comunisti andrebbero impiccati uno a uno, dai retta a me”?

Noi siamo l’Inferno che avete dentro, noi siamo il sogno che non vivrete mai. Noi siamo lo specchio che non guardate per non riconoscervi in lui.

Citando Caparezza, è tutta colpa mia, faccio il mea culpa per la situazione che mi aveva tolto la gioia di vivere. Perché in fondo so, al contrario dei mangiatori di fango e merda che mi circondano, che tutto ciò che succede non è colpa di altri, è colpa nostra. È colpa mia. Perché se non si è parte della soluzione, allora, si è solamente ed inevitabilmente parte del problema.

Io sarò per sempre un mostro orribile, come puoi amare me?

My December

Questo è il mio dicembre, questo è il mio tempo dell’anno. Questo è il mio dicembre, questo sono io da solo, questo sono io facendo finta che questo è tutto ciò di cui ho bisogno. Desidererei non sentirmi come se ci fosse qualcosa che mi manchi. E rimangerei tutte le cose che ti ho detto facendoti sentire così. E darei via tutto quanto solo per avere un posto dove andare… darei tutto via, per avere qualcuno da cui tornare…

Anno dopo anno.

Pensieri Sciolti

È un mondo d’inferno. Un mondo in cui tutto ha un prezzo, tutto un valore, tutto una durata. Il più nobile dei pensieri oggi, potrà essere merce di scambio domani. O essere addirittura rinnegato, come se d’improvviso perdesse di significato.

Onestà, lealtà, onore, saggezza… tutte parole vuote, come le altre infinite parole che vengono quotidianamente usate a sproposito. Come se per parlare bisognasse pescare nel vocabolario un termine casuale da inserire ad hoc, anche fuori contesto, per far bella figura. O per privarlo di ogni suo significato.

Popolare, populista, liberale, socialista, oramai hanno tutti connotati diversi. Il socialista è un ladro comunista, il liberale è un ladro fascista. Il populista è… cos’è un populista? Chi può ormai dire cosa sia un populista? Questo termine è stato usato talmente spesso che oramai non si sa più cosa significhi. Berlusconi è stato tacciato, da sempre, di essere un piazzista/populista. Lo stesso Berlusconi critica Di Pietro per essere un populista. O Berlusconi, che parla di proposta di “legge popolare”. Ma la “legge popolare” non era una legge che veniva proposta dal popolo? Non mi sembra che si possa definire “legge popolare” una legge studiata e fatta da un primo ministro e data in pasto alla gente. Ma basta parlare di politica, non era questo che avevo in mente, seppur causa di gran parte del contesto.

Io ho vissuto in un periodo, seppur breve, in cui le parole avevano ancora un significato. Una persona onesta era una persona onesta, un ladro era un ladro, un mafioso era un mafioso, un culattone era un culattone, ed un segaiolo era un segaiolo, per dirla alla Patrucco: «non giudicatemi per le parole usate ma per il senso, perché per me è uguale: la vera differenza è che uranista/onanista la capiscono Sgarbi ed un paio d’altri, culattone/segaiolo la capiscono tutti».

Di quest’era ho visto tutto il declino, sempre lento, perpetuo, in alcuni momenti quasi impercettibile. E fu così che i mafiosi divennero eroi, i ladri perseguitati, gli onesti invidiosi. Le persone che avevano a cuore le altre persone divennero populisti, quelle che facevano affari mettendoci i soldi (o il culo, come diceva Ricucci) degli altri diventano grandi imprenditori d’alta finanza. I lavoratori diventano risorse umane, i disoccupati scansafatiche…

Ed in tutto questo vorticoso turbinio di parole, non si sa più come definirsi. Le parole stesse sono state private e deprivate del loro significato. Quella che noi chiamiamo una rosa, con qualsiasi altro nome, profumerebbe altrettanto dolcemente. È si vero, ma in un contesto sviluppato ogni cosa ha un suo nome ed ogni nome ha un suo senso. Se invertissimo i nomi della rosa con quello degli escrementi, diremmo in scioltezza che “questa rosa puzza di merda”. Ogni cosa ha un suo senso.

A parte, forse, questo post. Almeno per i più.

PS: stranamente mi è tornato in mente [SkiD], dopo un mio dialogo con lui, che si rivolse ad un amico e gli disse: “Sembra che non ha detto niente. Ma se lo stai ad ascoltare attentamente, con mente aperta, capisci perfettamente cosa ti sta dicendo, e non ti fai ingannare dall’apparenza delle parole.” Chissà, forse lui capirà.

E Io che Pensavo Fosse Finita

È passato parecchio tempo da quel giorno dello scorso anno, ed ho sempre fatto in modo di sorridere durante quei momenti particolari, ma senza saperlo il dolore era tutt’altro che svanito.

Ho passato con lui più di metà della mia vita, e se n’è andato solo perché qualche idiota a caso ha pensato che fosse carino il dargli da mangiare, intossicandolo.

Non credo di aver mai parlato di lui, ma credo che sarebbe anche ora. Urlare al mondo tutte le piccole cose che popolavano la mia mente mentre le lacrime graffiavano il mio volto. E non è una cosa usuale, hey!

Era nato bastardo, sia fisicamente che metaforicamente, ed era un fottutissimo pazzo, proprio come me. Faceva le cose più assurde su questo pianeta con tutta la rabbia che era in grado di metterci, per poi guardarti innocentemente negli occhi, come se ciò che aveva fatto fosse la cosa più naturale che un cane potesse fare.

Ci sono diversi fatti divertenti, e non so quasi da dove cominciare. Vediamo…

Mia madre una volta voleva dargli dei biscotti, perché lui li adorava. È uscita fuori, l’ha chiamato e gli ha offerto i biscotti. Lui li ha guardati, si è fermato per un secondo e poi se n’è andato. Mia madre si iniziò a chiedere se stava bene o se semplicemente non ne aveva voglia. Meno di un minuto dopo è comparso di fronte a lei, lasciando cadere il telecomando ai suoi piedi e pretendendo i biscotti. “Mi dai i biscotti? Hey!! Guarda cosa ti do in cambio!! Affare fatto?”. Il piccolo bastardo era entrato di nascosto dentro casa quando non c’era nessuno, aveva preso il telecomando (era vecchiotto, un po’ grande, fatto di plastica resistente… era un giocattolo perfetto) ed aveva iniziato a giocarci. Ce l’ho ancora da qualche parte con tutti i segni dei morsi impressi nella plastica.

O c’è quella volta sulla spiaggia. Era un “corridore”: se lo perdevi, dovevi corrergli dietro per miglia, non c’era un cazzo da fare. Il problema era che dove abitiamo c’erano (e ci sono ancora) un sacco di camion che vanno e vengono, e che potevano spiaccicarlo per sempre. Comunque, sto divagando. I miei genitori lo portarono al veterinario, io ero all’università a quei tempi, quindi non potevo esserci. Dato che accadeva sempre in Gennaio/Febbraio, di solito lo portavamo successivamente in spiaggia per farlo giocare e correre un pò. Mia madre non era in grado di correre con lui, quindi mio padre pensò di farlo correre un pò, e lo fece. Mentre correva però, il cane si spostò dal bagnasciuga sulla sabbia asciutta, rendendo il correre più difficile. Mio padre ebbe problemi, iniziò a “ballare” e poi cadde di faccia (o di mani, ma ho sempre amato il credere che cadde con la faccia nella sabbia). Pensò “ok, l’abbiamo perso…” ma il cane era si bastardo, ma non traditore. Anche se ottenne la sua libertà, si rese conto del fatto che mio padre non era più con lui. Si fermò, girò la testa, gli corse incontro… ed iniziò a leccargli la faccia… “stai bene?”.

E poteva capirti. Diverse persone ci dissero che non era un animale, era un uomo… Una volta, da bambino, mentre giocavo con i miei cugini caddi. Nulla di grave, ma i miei cugini erano dall’altra parte del cortile e non mi potevano vedere ed io ero solo col mio cane, quindi decisi di “testarlo”. Ho finto di essermi fatto molto male, lui non se ne sarebbe accorto in ogni caso, sono un grande attore. Gli ho chiesto (una volta!) di andare a chiamare mia madre. L’ultima cosa che ricordo è lui che correva alla velocità della luce, e che tornava indietro con tutta la gente che era in casa al seguito 10 secondi dopo. La gente che era in casa mi raccontò che aveva iniziato a grattare freneticamente sulla porta (una porta in vetro, non faceva danno), fino a che qualcuno non gli aprì, e poi pretese che lo seguissero… Fu stupendo…

E non solo poteva capirti, poteva anche leggerti in faccia. Giuro che ero in grado di vedere il dolore nei suoi occhi quando ero riempito di pensieri… Quand’ero triste, lui lo capiva e iniziava a fissarmi e starmi intorno. Un livello di empatia che ho raramente visto in qualsiasi essere umano (oltre a me, ovviamente). Mi guardava dritto negli occhi, cercando di capire cosa mi facesse stare così. Giuro che l’ho visto provare… E quando generalmente me ne rendevo conto, mi rallegravo un pochino, e lui (nuovamente) mi guardava quasi sorridendo, o comunque rappacificato con se stesso. So che molti di voi mi crederanno pazzo a quest’ora, ma non posso non credere a ciò che hanno visto i miei occhi negli anni: un sacco di anni. E quando il mondo ballava, senza bisogno di dirlo, lui ballava col mondo.

Questi sono soltanto pochi estratti, 14 anni sono più di quanto qualsiasi post possa descrivere, ma volevo condividere la mia visione di lui… era un bravo cane, molto più umano che cane in ogni caso. Mio compagno per anni. Dite una preghiera per lui questa notte se potete o volete.

Mi mancano da morire l’onestà, ed i momenti speciali, ed onestamente mi mancano da morire tutte quelle cose fottute che facevi

Amico, mi manchi da morire.