Di perfezionismo, social, cambiamenti e famiglia

Questo sarà un altro dei post lunghi, molto lunghi, dato che dovrà sintetizzare, volente o nolente, gli ultimi anni di (semi)inattività.

Innanzi tutto, come potete vedere, questo non è più ciò che un tempo era il mio sito. Ho dovuto pormi la seguente domanda: “Cos’è importante negli ultimi tempi?”. “Un alto FTE e un basso TTM”. Il sito era molto bello, seppur di vecchia architettura. Anche molto funzionale. Ma aveva un problema, comune nelle opere di molti creativi, che è molto ben spiegato in questo post di levelsio:

Noi creativi abbiamo un problema comune: finire. Musicisti, scrittori o sviluppatori, siamo perfezionisti e i progetti non sono mai semplicemente “completati”. C’è sempre una parte extra da comporre, un capitolo extra da scrivere, o quella funzione extra da aggiungere. Poi quando i nostri progetti sono pressoché alla fine, ce ne dimentichiamo e passiamo al successivo, senza nemmeno pubblicarli. Ci piace la sensazione di iniziare qualcosa di “nuovo”, odiamo la sensazione di finire qualcosa di “vecchio”.

È inconsciamente la stessa conclusione a cui ero arrivato qualche giorno fa, mentre completavo le ultime modifiche al progetto SkyDubh, per ora in gran parte privato. Un motivo per il quale ho smesso di postare è stata la sensazione di poter fare altrettanto altrove. Twitter, Facebook e i loro simili sono tutti palliativi della comunicazione pseudo-social. Certo, si può scrivere, e spesso si può avere una grande esposizione mediatica in caso di pagine promozionali, ma se andiamo al succo cos’abbiamo? Prodotti sviluppati per affondarne altri, strafinanziati da entità pubbliche, volti non alla comunicazione o alla socializzazione, bensì all’acquisizione di informazioni o all’acquisizione di cavie da laboratorio. Qualunque messaggio vero, non rivolto a masse enormi, è solo rumore di fondo mal accetto. Così come Twitter nasce col semplice intento di spostare il traffico dagli SMS a internet (avete mai notato che il limite di caratteri nei messaggi Twitter e SMS è lo stesso? No?), la maggior parte della comunicazione su internet è diventata superficiale, trattante argomenti superficiali in modo superficiale. Dato il calo di messaggi scritti su Facebook, di cui l’azienda risente economicamente, hanno creato monitoraggio e analisi delle battute scritte e cancellate nei messaggi mai inviati (intendo caratteri scritti, non freddure). Tradotto: se scrivete un messaggio nell’area di testo, ma poi decidete di non pubblicarlo per qualsiasi motivo, Facebook ne conserva una copia e la studia per capire come invogliarvi a pubblicarlo.

Se a questo uniamo tutti i trascorsi di PRISM, Locksmith e compagnia cantando, cosa resta? Il buon vecchio blog. “Ma lo sviluppo richiede tempo, anche la scrittura e la formattazione, e il nuovo design…”. Si può però utilizzare un CMS OpenSource. “Ma dagli USA la connessione spesso è lenta, anche in base agli orari, e comunque tutto il traffico è monitorato, che si fa?”. Si porta tutto a casa, in Europa. Avete mai notato quanto Facebook sia rallentato negli ultimi anni, ma in realtà qualunque cosa sia servita dall’America? Io si. Il mio sito che prima rispondeva con un tempo di 50-60 ms, è passato a un tempo medio di risposta di oltre 182 ms. Significa che a parità di provenienza e arrivo, i tempi di percorrenza si sono triplicati, se non di più. A cosa è dovuto tutto ciò? La risposta la lascio a voi, tanto è banale.

Questa che vedete è la risposta, temporaneamente con una grafica che riterrei oscena, seppur graditamente minimalista. Oggi come in passato ho dovuto scegliere tra apparenza ed essenza, e sebbene in passato abbia sempre puntato alla perfezione, al lancio perfetto, oggi ho scelto l’essenza. L’apparenza può raggiungerla dopo, non c’è fretta. E non importa la mole immensa di lavoro che ho dovuto affrontare per convertire i contenuti del mio CMS personale in un formato OpenSource: gli sforzi saranno ripagati appieno grazie alla gestione dei contenuti molto più rapida. Perché non c’è storia: se non si tratta di un lavoro importante o di un progetto singolo, nessun lavoro fatto da una persona può battere il lavoro sviluppato da un team per anni. Sebbene i miei CMS abbiano sempre resistito a tutti gli attacchi e ai tentativi di infiltrazione, il TTM è troppo dannatamente lungo. Ricordate i miei post precedenti riguardo lo sviluppo del nuovo sito? Così come diceva levelsio, è pronto, da mesi (se non anni), ma non è mai “semplicemente” finito, al punto che ad oggi non vedrà mai la luce. E anche i micro-blog, WoW e Code, saranno inglobati in questo, in forme diverse. Stessa sorte toccherà al progetto SkyDubh che, nonostante il CMS di mia fattura passerà dalla versione splash-screen alla versione 3.0 senza che il mondo ne sia venuto al corrente. Ma questo non è l’argomento di punta odierno. Cito nuovamente levelsio:

[…] i progetti non sono mai semplicemente “completati”. C’è sempre una parte extra da comporre, un capitolo extra da scrivere, o quella funzione extra da aggiungere. Poi quando i nostri progetti sono pressoché alla fine, ce ne dimentichiamo e passiamo al successivo, senza nemmeno pubblicarli.

Ci sono tanti, tantissimi progetti incompiuti, o compiuti ma non pubblicati. O programmi scritti, riscritti, ultimati, usati ma mai pubblicati. Così come canzoni scritte ma mai ascoltate. Così come testi scritti ma mai letti. È un peccato. Una trappola apparentemente senza uscita da cui voglio disperatamente tirarmi fuori, con la risolutezza che mi si conviene. E ho intenzione di cambiare da subito, modificando nettamente il mio atteggiamento nei confronti di lavoro e di locazione. Tutti gli scritti, i brani, i software e i disegni mai rilasciati saranno pubblicati in toto. TUTTI. Senza alcun ma.

Avendo la sfortuna di esser nato italiano ho avuto un handicap aggiuntivo, le orde di demotivatori che infestano il paese. Come già precedentemente scritto nel mio whoami, sono sempre stato convinto che sarebbero dovuti essere i criminali ad andarsene, non i giusti. Il mio più grande sbaglio è quindi stato quello di “voler cambiare il mondo, tanto il mondo non si cambia” o, usando la cortese prosa di Uriel Fanelli:

[…] prende in considerazione la vulgata per cui “la maggioranza vuole questo, se vuoi cambiare devi convincere la maggioranza: è la democrazia, Darling”.

Che sorpresa ho avuto alla scoperta della risposta data ai miei dubbi e le mie convinzioni in un saggio del 1849, Disobbedienza civile, scritto da una persona morta nel 1862, Henry David Thoreau:

Di fatto, non è dovere di un individuo dedicarsi all’estirpazione del male, anche del più grande; giustamente, egli potrebbe avere altre faccende che lo occupano; ma è suo dovere, almeno, tenersene fuori e, se non vi pensa oltre, non dargli il suo supporto praticamente

Di fatto, ci sono paesi che stanno sviluppando intere città per attirare talenti. Intere città adattate per accomodare freelancer, spazi creati per il colavoro. Dall’altra parte per tutta risposta abbiamo solo dei “trovati un lavoro di giorno”. E quando ti chiedi “ma cos’è che mi tiene qui?” la decisione l’hai già presa. Se vivere costa, e i miei bisogni possono essere soddisfatti ovunque, tanto vale vivere dove mi conviene. Perché non devo niente a nessuno. Il trasferimento è anche molto semplice, sebbene il ritorno non lo sia mai:

The experience of living abroad was a huge, adrenaline-pumping high. And coming home, a floor-shattering free fall.

So upon coming home, surrounded by familiar faces and places, I began to find comfort again in those old familiar things. Simultaneously, since I myself was no longer the most familiar thing, I began losing touch with my Self. And so starts a downward spiral off a euphoric high. This is the most shocking part of coming home.

I felt flat. Anxious. Insecure. Lost. A general uneasiness and sense that something was missing. I was uncharacteristically apathetic toward everything. It feels like the worst hangover ever.

Upon coming home, I noticed how quickly I began to compare myself to others. There’s an uneasy heaviness in this. […] just being in the presence of people who know me back at home, I feel more influenced.

While traveling, I felt zero need to impress anyone but myself. And with no set agenda, I was able to do whatever the hell I wanted to do.

This is why travel is sometimes referred to as a drug. Similar to drugs or alcohol, travel has the power to temporarily remove all inhibitions and superficial worries, heighten the senses, and if only for a moment, allow one to ignore ego and feel a sense of oneness with the world. For me, travel evokes a sense of aliveness that is unparalleled to anything I’ve ever experienced.

Surrounded by people who know nothing about me, I had the opportunity to be whoever or whatever I wanted with each new country, city, or hostel. But instead of creating some false persona, I just acted like myself. With no inhibitions. no reservations, and no superficial bullshit there’s only one thing left: the purest feeling of being alive.

Something funny happens when you accept who [you] are and are free to do whatever you want. First, you feel at peace because by doing only things you want to do, you’re being true to yourself. Second, like-minded people enter your life as if they’ve miraculously dropped out of the sky and placed purposefully [in] front of you.

And what if, within the prisons of routine and familiarity, I have a hard time remembering that? Well, maybe it’s time to pack a bag and hit the road again.

C’è del vero in quanto scritto, avendolo vissuto di persona posso confermarlo. Anche quello è stato forse un grave errore: lo smettere di muovermi all’estero annualmente. Aria diversa, facce diverse, pensieri diversi aiutano la persona a capire se stessa. Pensando alla Germania, la libertà di essere se stessi è fantastica. Commetti illegalità? No? Allora puoi farlo. A prescindere da cosa sia. A prescindere da cosa tu dica, se è legale puoi. L’aria pesante di casa, le parole non dette, i pensieri inespressi provocano un enorme senso di smarrimento, una fortissima crisi di identità. L’essere intelligenti viene fatto vivere come un fardello, un peso dal quale non è possibile esimersi, perché in patria non sono gli idioti a dover imparare, bensì gli intelligenti a doversi abbassare al livello degli idioti per tenerli mansueti, a spiegarsi nei minimi termini. Ma come si fa a parlare di multiverso e massimi sistemi con persone che al massimo arrivano alla valutazione delle gradazioni di Tavernello? Non si può, ma non per colpa della loro ignoranza, bensì per colpa tua dato che “non sei stato in grado di spiegarti”. Contrapposto a tutto questo comportamento nazionale ci sono decine di paesi pronti ad accogliere a braccia aperte nuova linfa vitale e rimuovere i parassiti tanto odiati in patria. Eppure sono ancora qui. Siamo ancora qui.

Il quanto però, almeno questo, è tutto da vedere. Sebbene sia alquanto vecchiotto per emigrare senza problemi, è giunto il tempo di agire e reagire, di muoversi e pubblicare, di spazzar via ogni dubbio dalla strada, e di dar vita alle creazioni “perfette o meno che siano”. Da subito.

Anche il comparto relax ne subirà le conseguenze: ho la ferma intenzione di ricominciare a comporre (forzatamente se necessario), così come l’intenzione di chiudere definitivamente il clan Demons of Razgriz. Forse rinascerà in forma diversa sotto nuove spoglie, o forse no, ma non ritengo più giustificato il lottare da solo contro mulini a vento. Non più.

Contravvengo alla mia regola del non pubblicare cose troppo personali o identificative, e vi mostro i miei nonni, nel giorno del loro 60° anniversario di matrimonio. Sono stati per me dei secondi genitori sin dal giorno della mia nascita e sono recentemente scomparsi nel giro di un anno l’uno dall’altra lasciando in me un vuoto davvero incolmabile. Ogni azione, ogni parola, porta con se il loro ricordo. Il mio essere così simile a lui, poi, non fa altro che esacerbarne la perdita. Poco fa ho mentito spudoratamente. Devo assolutamente e decisamente migliorare la mia vita e quella di chi mi sta intorno, anche se significasse buttare tutto (il poco che si è ottenuto) all’aria per assicurare un futuro migliore a me e la mia famiglia. Lo devo a qualcuno.

Lo devo a loro.

Baia Censurata? Not really.

Scrissi qualche giorno fa su FB (le cui coordinate non saprete mai) di come bypassare la censura a livello DNS di The Pirate Bay (ed ogni altra forma simile). L’Italia, conscia della figura di merda dell’ultima volta però, ha saggiamente (lol) deciso di applicare anche una forma di “filtraggio” a livello IP. Cosa significa? Significa che se voi, dall’Italia, cercate di connettervi ai server della Baia, non riuscirete a connettervi perché le connessioni si bloccano al confine.

La soluzione al DNS poisoning, come già accennato in un mio mini-paper precedente, era quella di usare i server di OpenDNS. Questo consentiva di avere l’indirizzo IP reale della Baia, e non avere il problema di essere ingannati. Questo metodo (da solo) non è più sufficiente.

I più di voi sapranno già di reti Tor, proxy servers e quant’altro, ma vorrei porre l’ennesima soluzione sintetizzata con un “Opera >> ALL”. Passo a spiegarvi.

Chi mi conosce sa che da anni non uso altro browser al di fuori di Opera, il miglior browser web per qualsiasi piattaforma esistente. E no, Firefox non è migliore in nulla. Ma andiamo avanti.

Quest’oggi ho fatto una scoperta molto interessante riguardo la feature chiamata Opera Turbo, che funziona così:

  1. I server di Opera Software scaricano la pagina web
  2. I server di Opera Software comprimono la pagina
  3. Il client Opera scarica la pagina compressa

Riuscite a vedere il pattern? Ebbene, dopo qualche ora passata con successo a tirar su un server proxy con socks verso rete Tor, mi sono accorto che con un semplice click sull’Opera Turbo è possibile bypassare qualsiasi ip filtering verso qualsiasi indirizzo senza alcun rallentamento dell’operazione, anzi, va anche più veloce! Quindi:

Opera, how do I love thee? Let me count the ways…

Rinnovo quindi il mio monito: se non l’avete già fatto, passate ad Opera!

Natale

Caro bambino Gesù, quest’anno ti sei portato via il mio cantante preferito Michael Jackson, il mio attore preferito Patrick Swayze, la mia attrice preferita Farrah Fawcett, il mio presentatore preferito Mike Bongiorno e la mia poetessa preferita Adda Merini. Volevo dirti che il mio politico preferito è Silvio Berlusconi… e che l’anno non è ancora finito.

Auguroni. 🙂

Soldati, alle Armi

Non so per quanto tempo ancora reggerà questo piccolo luogo nefasto a forma di stato che i più arditi chiamano Italia. Vedo una costante presenza di forma vitale (più o meno) dallo scarso intelletto e dalla scarsa consapevolezza che i più (in ogni senso, spesso negativo) chiamano italiani.

Questo piccolo paese, governato da piccole persone con piccole menti, e guarda caso dedita alla piccola criminalità sta collassando. E tutto ciò che ne esce è un’ennesima caccia alle streghe. O per dirla in termini un po’ più aggiornati, una mediatica caccia allo straniero.

Ah, e m’ero quasi scordato la “corsa alla solidarietà all’Abruzzo”. Io di notte dopo qualche scossa che purtroppo sento ancora, ogni tanto mi metto a piangere. Ricordo la gente che lodava il governo, lodava la protezione civile, lodava tutti, e nello stesso tempo parte della mia famiglia moriva sotto le macerie, non perché non ci fosse gente o perché non potesse essere aiutata, ma perché non erano autorizzati a farlo.

“Big deal” direte voi, ma cosa significa? Significa che la gente che sapeva che altra gente era sotto quelle macerie ha dovuto aspettare che ne estraessero i cadaveri. Significa che i vicini, i parenti, chiunque fosse per strada che volesse aiutare scavando con mani e denti se necessario per aiutare quelle persone è stato fermato dalle autorità. E le autorità non potevano intervenire perché non erano autorizzate dalla protezione civile. E la gente che doveva dare l’autorizzazione era scappata alle 10 a Roma, perché “non c’è alcun pericolo” vale solo per i civili, non per le autorità. E la gente, i vicini di casa lì fuori, ad aspettare dalle 6 le 7 di mattina, senza poter fare nulla, senza poter aiutare nessuno, ad aspettare fino a che alle 5 di pomeriggio non hanno estratto 5 cadaveri da quelle stesse macerie, incluso un cazzo di bambino di 10 anni, che se fosse stato aiutato per tempo si sarebbe quasi sicuramente salvato.

E nonostante tutto questo, la povera gente come me deve sentir parlare dei coglioni (e non in quanto comunisti, ma in quanto tali) che lodano chiunque, che non sanno come stanno le cose, che parlano per sentito dire e luoghi comuni, che assaltano qualunque preda venga fornita loro, non perché vogliano farlo ma perché sentono di doverlo fare, anche se non sanno con chi lo stanno facendo, ma è stato indicato loro, quindi deve essere per forza essere colpevole.

Se tacci tali persone di essere xenofobe o semplicemente stupide avrai la risposta standard: “non sono io il razzista! sei tu il comunista/protettore di questi animali/”. Se tacci queste persone di essere degli idioti che parlano parlano solo per dare aria alla bocca, come dei pappagalli ammaestrati, senza conoscere i fatti, ti diranno che loro li conoscono benissimo, sei tu a non conoscere i fatti e/o ad essere un dannato comunista. Oppure, cosa che non sentivo più dal ventennio (anche se non posso dire di averlo sentito di mio, ma le registrazioni esistono per questo), di non essere degno/fiero di essere italiano o, Dio ce ne scampi, di essere un nemico dell’Italia.

Vane sono le richieste di usare il proprio cervello al posto di essere dipendenti dai pensieri altrui. “Cervello?” ti risponderebbero, “Che cos’è un cervello? A cosa serve? Siamo nel nuovo millennio, non siamo noi a pensare, sono gli statisti/mediatici a dir noi a cosa dobbiamo pensare. E poi era scritto anche nel giornale, perciò dev’essere tutto vero!”. O no?

Come disse il saggio, tutti i discorsi xenofobi iniziano con “Io non sono razzista”. E per citare nuovamente Eleanor Roosvelt (spero mi perdoni per l’uso spropositato che faccio di questa sua frase): “Le grandi menti parlano di idee, le menti mediocri parlano di fatti, le menti povere parlano di persone”.

Sempre più spesso mi trovo a rimpiangere la vecchia Italia della “pizza, spaghetti e mandolino”. Mi ritrovo in una Italia in cui gli spaghetti sono stati rimpiazzati dagli hamburger ed il mandolino dal manganello. E la cosa più triste è che a quasi tutti piace questa nuova Italia. Non importa se (perdonatemi il paradosso) avanziamo verso un’arretratezza che mai al mondo avrei sognato. Quello che ai nostri occhi appare è solo un benessere globale tutto nostro, che gli altri (dannati extracomunitari!) vorrebbero anche per loro, ma che è solo nostro, ed allora sono anche disposti a rubarcelo! Che in realtà siano cazzate non importa a nessuno, perché nel paese dell’omertà, ognuno si fa i cazzi propri.

Tanto per citare esempi di “criminalità straniera”: a Trieste poco tempo fa un tunisino è stato rapinato da un triestino. A Napoli una coppia di giovani turisti è stata rapinata, ma sono riusciti a fermare il ladruncolo: vedendo arrivare la gente pensarono, come riportato anche ai giornali “ma tu guarda, non è vero quello che dicono degli italiani, che sono tutti criminali e roba del genere, ci stanno venendo tutti ad aiutare”. Poi li hanno picchiati (i napoletani ai turisti), hanno ridato la refurtiva al ragazzino, l’hanno fatto scappare, hanno continuato a picchiare i turisti e poi sono scappati.

Vorrei chiudere questo post (evitando altre riflessioni che non sono ancora disposto a rendere pubbliche) con una frase di Einstein: “Non so con quali armi si combatterà la terza guerra mondiale, ma so che la quarta verrà combattuta con pietre e bastoni”.

Ed io sono qui, in attesa di un cenno, armato fino ai denti e pronto alla guerra.

Si accendano le luci, si alzi il sipario, che entrino gli attori.

Pensieri Sciolti

È un mondo d’inferno. Un mondo in cui tutto ha un prezzo, tutto un valore, tutto una durata. Il più nobile dei pensieri oggi, potrà essere merce di scambio domani. O essere addirittura rinnegato, come se d’improvviso perdesse di significato.

Onestà, lealtà, onore, saggezza… tutte parole vuote, come le altre infinite parole che vengono quotidianamente usate a sproposito. Come se per parlare bisognasse pescare nel vocabolario un termine casuale da inserire ad hoc, anche fuori contesto, per far bella figura. O per privarlo di ogni suo significato.

Popolare, populista, liberale, socialista, oramai hanno tutti connotati diversi. Il socialista è un ladro comunista, il liberale è un ladro fascista. Il populista è… cos’è un populista? Chi può ormai dire cosa sia un populista? Questo termine è stato usato talmente spesso che oramai non si sa più cosa significhi. Berlusconi è stato tacciato, da sempre, di essere un piazzista/populista. Lo stesso Berlusconi critica Di Pietro per essere un populista. O Berlusconi, che parla di proposta di “legge popolare”. Ma la “legge popolare” non era una legge che veniva proposta dal popolo? Non mi sembra che si possa definire “legge popolare” una legge studiata e fatta da un primo ministro e data in pasto alla gente. Ma basta parlare di politica, non era questo che avevo in mente, seppur causa di gran parte del contesto.

Io ho vissuto in un periodo, seppur breve, in cui le parole avevano ancora un significato. Una persona onesta era una persona onesta, un ladro era un ladro, un mafioso era un mafioso, un culattone era un culattone, ed un segaiolo era un segaiolo, per dirla alla Patrucco: «non giudicatemi per le parole usate ma per il senso, perché per me è uguale: la vera differenza è che uranista/onanista la capiscono Sgarbi ed un paio d’altri, culattone/segaiolo la capiscono tutti».

Di quest’era ho visto tutto il declino, sempre lento, perpetuo, in alcuni momenti quasi impercettibile. E fu così che i mafiosi divennero eroi, i ladri perseguitati, gli onesti invidiosi. Le persone che avevano a cuore le altre persone divennero populisti, quelle che facevano affari mettendoci i soldi (o il culo, come diceva Ricucci) degli altri diventano grandi imprenditori d’alta finanza. I lavoratori diventano risorse umane, i disoccupati scansafatiche…

Ed in tutto questo vorticoso turbinio di parole, non si sa più come definirsi. Le parole stesse sono state private e deprivate del loro significato. Quella che noi chiamiamo una rosa, con qualsiasi altro nome, profumerebbe altrettanto dolcemente. È si vero, ma in un contesto sviluppato ogni cosa ha un suo nome ed ogni nome ha un suo senso. Se invertissimo i nomi della rosa con quello degli escrementi, diremmo in scioltezza che “questa rosa puzza di merda”. Ogni cosa ha un suo senso.

A parte, forse, questo post. Almeno per i più.

PS: stranamente mi è tornato in mente [SkiD], dopo un mio dialogo con lui, che si rivolse ad un amico e gli disse: “Sembra che non ha detto niente. Ma se lo stai ad ascoltare attentamente, con mente aperta, capisci perfettamente cosa ti sta dicendo, e non ti fai ingannare dall’apparenza delle parole.” Chissà, forse lui capirà.