Di perfezionismo, social, cambiamenti e famiglia

Questo sarà un altro dei post lunghi, molto lunghi, dato che dovrà sintetizzare, volente o nolente, gli ultimi anni di (semi)inattività.

Innanzi tutto, come potete vedere, questo non è più ciò che un tempo era il mio sito. Ho dovuto pormi la seguente domanda: “Cos’è importante negli ultimi tempi?”. “Un alto FTE e un basso TTM”. Il sito era molto bello, seppur di vecchia architettura. Anche molto funzionale. Ma aveva un problema, comune nelle opere di molti creativi, che è molto ben spiegato in questo post di levelsio:

Noi creativi abbiamo un problema comune: finire. Musicisti, scrittori o sviluppatori, siamo perfezionisti e i progetti non sono mai semplicemente “completati”. C’è sempre una parte extra da comporre, un capitolo extra da scrivere, o quella funzione extra da aggiungere. Poi quando i nostri progetti sono pressoché alla fine, ce ne dimentichiamo e passiamo al successivo, senza nemmeno pubblicarli. Ci piace la sensazione di iniziare qualcosa di “nuovo”, odiamo la sensazione di finire qualcosa di “vecchio”.

È inconsciamente la stessa conclusione a cui ero arrivato qualche giorno fa, mentre completavo le ultime modifiche al progetto SkyDubh, per ora in gran parte privato. Un motivo per il quale ho smesso di postare è stata la sensazione di poter fare altrettanto altrove. Twitter, Facebook e i loro simili sono tutti palliativi della comunicazione pseudo-social. Certo, si può scrivere, e spesso si può avere una grande esposizione mediatica in caso di pagine promozionali, ma se andiamo al succo cos’abbiamo? Prodotti sviluppati per affondarne altri, strafinanziati da entità pubbliche, volti non alla comunicazione o alla socializzazione, bensì all’acquisizione di informazioni o all’acquisizione di cavie da laboratorio. Qualunque messaggio vero, non rivolto a masse enormi, è solo rumore di fondo mal accetto. Così come Twitter nasce col semplice intento di spostare il traffico dagli SMS a internet (avete mai notato che il limite di caratteri nei messaggi Twitter e SMS è lo stesso? No?), la maggior parte della comunicazione su internet è diventata superficiale, trattante argomenti superficiali in modo superficiale. Dato il calo di messaggi scritti su Facebook, di cui l’azienda risente economicamente, hanno creato monitoraggio e analisi delle battute scritte e cancellate nei messaggi mai inviati (intendo caratteri scritti, non freddure). Tradotto: se scrivete un messaggio nell’area di testo, ma poi decidete di non pubblicarlo per qualsiasi motivo, Facebook ne conserva una copia e la studia per capire come invogliarvi a pubblicarlo.

Se a questo uniamo tutti i trascorsi di PRISM, Locksmith e compagnia cantando, cosa resta? Il buon vecchio blog. “Ma lo sviluppo richiede tempo, anche la scrittura e la formattazione, e il nuovo design…”. Si può però utilizzare un CMS OpenSource. “Ma dagli USA la connessione spesso è lenta, anche in base agli orari, e comunque tutto il traffico è monitorato, che si fa?”. Si porta tutto a casa, in Europa. Avete mai notato quanto Facebook sia rallentato negli ultimi anni, ma in realtà qualunque cosa sia servita dall’America? Io si. Il mio sito che prima rispondeva con un tempo di 50-60 ms, è passato a un tempo medio di risposta di oltre 182 ms. Significa che a parità di provenienza e arrivo, i tempi di percorrenza si sono triplicati, se non di più. A cosa è dovuto tutto ciò? La risposta la lascio a voi, tanto è banale.

Questa che vedete è la risposta, temporaneamente con una grafica che riterrei oscena, seppur graditamente minimalista. Oggi come in passato ho dovuto scegliere tra apparenza ed essenza, e sebbene in passato abbia sempre puntato alla perfezione, al lancio perfetto, oggi ho scelto l’essenza. L’apparenza può raggiungerla dopo, non c’è fretta. E non importa la mole immensa di lavoro che ho dovuto affrontare per convertire i contenuti del mio CMS personale in un formato OpenSource: gli sforzi saranno ripagati appieno grazie alla gestione dei contenuti molto più rapida. Perché non c’è storia: se non si tratta di un lavoro importante o di un progetto singolo, nessun lavoro fatto da una persona può battere il lavoro sviluppato da un team per anni. Sebbene i miei CMS abbiano sempre resistito a tutti gli attacchi e ai tentativi di infiltrazione, il TTM è troppo dannatamente lungo. Ricordate i miei post precedenti riguardo lo sviluppo del nuovo sito? Così come diceva levelsio, è pronto, da mesi (se non anni), ma non è mai “semplicemente” finito, al punto che ad oggi non vedrà mai la luce. E anche i micro-blog, WoW e Code, saranno inglobati in questo, in forme diverse. Stessa sorte toccherà al progetto SkyDubh che, nonostante il CMS di mia fattura passerà dalla versione splash-screen alla versione 3.0 senza che il mondo ne sia venuto al corrente. Ma questo non è l’argomento di punta odierno. Cito nuovamente levelsio:

[…] i progetti non sono mai semplicemente “completati”. C’è sempre una parte extra da comporre, un capitolo extra da scrivere, o quella funzione extra da aggiungere. Poi quando i nostri progetti sono pressoché alla fine, ce ne dimentichiamo e passiamo al successivo, senza nemmeno pubblicarli.

Ci sono tanti, tantissimi progetti incompiuti, o compiuti ma non pubblicati. O programmi scritti, riscritti, ultimati, usati ma mai pubblicati. Così come canzoni scritte ma mai ascoltate. Così come testi scritti ma mai letti. È un peccato. Una trappola apparentemente senza uscita da cui voglio disperatamente tirarmi fuori, con la risolutezza che mi si conviene. E ho intenzione di cambiare da subito, modificando nettamente il mio atteggiamento nei confronti di lavoro e di locazione. Tutti gli scritti, i brani, i software e i disegni mai rilasciati saranno pubblicati in toto. TUTTI. Senza alcun ma.

Avendo la sfortuna di esser nato italiano ho avuto un handicap aggiuntivo, le orde di demotivatori che infestano il paese. Come già precedentemente scritto nel mio whoami, sono sempre stato convinto che sarebbero dovuti essere i criminali ad andarsene, non i giusti. Il mio più grande sbaglio è quindi stato quello di “voler cambiare il mondo, tanto il mondo non si cambia” o, usando la cortese prosa di Uriel Fanelli:

[…] prende in considerazione la vulgata per cui “la maggioranza vuole questo, se vuoi cambiare devi convincere la maggioranza: è la democrazia, Darling”.

Che sorpresa ho avuto alla scoperta della risposta data ai miei dubbi e le mie convinzioni in un saggio del 1849, Disobbedienza civile, scritto da una persona morta nel 1862, Henry David Thoreau:

Di fatto, non è dovere di un individuo dedicarsi all’estirpazione del male, anche del più grande; giustamente, egli potrebbe avere altre faccende che lo occupano; ma è suo dovere, almeno, tenersene fuori e, se non vi pensa oltre, non dargli il suo supporto praticamente

Di fatto, ci sono paesi che stanno sviluppando intere città per attirare talenti. Intere città adattate per accomodare freelancer, spazi creati per il colavoro. Dall’altra parte per tutta risposta abbiamo solo dei “trovati un lavoro di giorno”. E quando ti chiedi “ma cos’è che mi tiene qui?” la decisione l’hai già presa. Se vivere costa, e i miei bisogni possono essere soddisfatti ovunque, tanto vale vivere dove mi conviene. Perché non devo niente a nessuno. Il trasferimento è anche molto semplice, sebbene il ritorno non lo sia mai:

The experience of living abroad was a huge, adrenaline-pumping high. And coming home, a floor-shattering free fall.

So upon coming home, surrounded by familiar faces and places, I began to find comfort again in those old familiar things. Simultaneously, since I myself was no longer the most familiar thing, I began losing touch with my Self. And so starts a downward spiral off a euphoric high. This is the most shocking part of coming home.

I felt flat. Anxious. Insecure. Lost. A general uneasiness and sense that something was missing. I was uncharacteristically apathetic toward everything. It feels like the worst hangover ever.

Upon coming home, I noticed how quickly I began to compare myself to others. There’s an uneasy heaviness in this. […] just being in the presence of people who know me back at home, I feel more influenced.

While traveling, I felt zero need to impress anyone but myself. And with no set agenda, I was able to do whatever the hell I wanted to do.

This is why travel is sometimes referred to as a drug. Similar to drugs or alcohol, travel has the power to temporarily remove all inhibitions and superficial worries, heighten the senses, and if only for a moment, allow one to ignore ego and feel a sense of oneness with the world. For me, travel evokes a sense of aliveness that is unparalleled to anything I’ve ever experienced.

Surrounded by people who know nothing about me, I had the opportunity to be whoever or whatever I wanted with each new country, city, or hostel. But instead of creating some false persona, I just acted like myself. With no inhibitions. no reservations, and no superficial bullshit there’s only one thing left: the purest feeling of being alive.

Something funny happens when you accept who [you] are and are free to do whatever you want. First, you feel at peace because by doing only things you want to do, you’re being true to yourself. Second, like-minded people enter your life as if they’ve miraculously dropped out of the sky and placed purposefully [in] front of you.

And what if, within the prisons of routine and familiarity, I have a hard time remembering that? Well, maybe it’s time to pack a bag and hit the road again.

C’è del vero in quanto scritto, avendolo vissuto di persona posso confermarlo. Anche quello è stato forse un grave errore: lo smettere di muovermi all’estero annualmente. Aria diversa, facce diverse, pensieri diversi aiutano la persona a capire se stessa. Pensando alla Germania, la libertà di essere se stessi è fantastica. Commetti illegalità? No? Allora puoi farlo. A prescindere da cosa sia. A prescindere da cosa tu dica, se è legale puoi. L’aria pesante di casa, le parole non dette, i pensieri inespressi provocano un enorme senso di smarrimento, una fortissima crisi di identità. L’essere intelligenti viene fatto vivere come un fardello, un peso dal quale non è possibile esimersi, perché in patria non sono gli idioti a dover imparare, bensì gli intelligenti a doversi abbassare al livello degli idioti per tenerli mansueti, a spiegarsi nei minimi termini. Ma come si fa a parlare di multiverso e massimi sistemi con persone che al massimo arrivano alla valutazione delle gradazioni di Tavernello? Non si può, ma non per colpa della loro ignoranza, bensì per colpa tua dato che “non sei stato in grado di spiegarti”. Contrapposto a tutto questo comportamento nazionale ci sono decine di paesi pronti ad accogliere a braccia aperte nuova linfa vitale e rimuovere i parassiti tanto odiati in patria. Eppure sono ancora qui. Siamo ancora qui.

Il quanto però, almeno questo, è tutto da vedere. Sebbene sia alquanto vecchiotto per emigrare senza problemi, è giunto il tempo di agire e reagire, di muoversi e pubblicare, di spazzar via ogni dubbio dalla strada, e di dar vita alle creazioni “perfette o meno che siano”. Da subito.

Anche il comparto relax ne subirà le conseguenze: ho la ferma intenzione di ricominciare a comporre (forzatamente se necessario), così come l’intenzione di chiudere definitivamente il clan Demons of Razgriz. Forse rinascerà in forma diversa sotto nuove spoglie, o forse no, ma non ritengo più giustificato il lottare da solo contro mulini a vento. Non più.

Contravvengo alla mia regola del non pubblicare cose troppo personali o identificative, e vi mostro i miei nonni, nel giorno del loro 60° anniversario di matrimonio. Sono stati per me dei secondi genitori sin dal giorno della mia nascita e sono recentemente scomparsi nel giro di un anno l’uno dall’altra lasciando in me un vuoto davvero incolmabile. Ogni azione, ogni parola, porta con se il loro ricordo. Il mio essere così simile a lui, poi, non fa altro che esacerbarne la perdita. Poco fa ho mentito spudoratamente. Devo assolutamente e decisamente migliorare la mia vita e quella di chi mi sta intorno, anche se significasse buttare tutto (il poco che si è ottenuto) all’aria per assicurare un futuro migliore a me e la mia famiglia. Lo devo a qualcuno.

Lo devo a loro.

Riflessioni allo Specchio

Da un po’ di tempo, circa un mesetto, sto avendo parecchi problemi con la compagnia fornitrice di elettricità. Hard disk bruciati, UPS stremati che commettono seppuku, lavoro perso a caso tra un salvataggio e l’altro a cui non arrivo per blackout. E sta comportando qualcosa che non mi aspettavo, su cui non mi soffermavo da tempo, e per il quale non riesco a perdonarli: mi sono trovato a riflettere.

Per quanto all’apparenza banale, è qualcosa che sono riuscito ad evitare per anni. Ma oggi, qui ed ora, non potendo uscire per lavorare (febbre), non potendo leggere a causa del buio, e non potendo giocare o chiacchierare con qualcuno, ho iniziato a pensare. Male, molto male.

Sono passato dal blog, per vedere se ci fossero stati aggiornamenti, a parte i soliti spammer che boh, contenti loro… Ho letto una frase di chiusura, al termine di un lungo post del 2006: “Cos’è che sto cercando?”

Mi sono reso conto che, senza fare citazioni dirette, questo paese mi ha trasformato finalmente in un apatico come solo la DDR ne è stata in grado, solo che la mia condizione come quella di moltissimi italiani è peggiore. Sarei dovuto scappare quando ne ho avuto occasione ma si sa, sono testardo, le cause perse non mi hanno spaventato. E così sono morto, combattendo una causa persa in partenza che nessuno poteva vincere. Oggi, forse, qualcosa sta cambiando, ma io e molti altri ci troviamo nel mezzo, tra quelli che stanno lottando e cambiando questo paese e tra quelli che si aggrappano mani, braccia e gambe, saldi sul loro status quo. E io? Io, mi sono chiesto? Con chi sto, io? Cosa sono, io? Cosa sto cercando, io? Rifacendomi al vecchio detto, mi sono chiesto: “sto forse aiutando e/o sono parte della soluzione?” — “No, almeno non più.” — “E allora sono (diventato, mio malgrado) parte del problema.”

Il realizzarlo, mi ha stroncato. Ha stroncato qualunque mio processo cognitivo. Tutto ha trovato una risposta. Perché sono infelice? Perché sono diventato apatico, parte del problema. Perché mi rattristo se X o Y si divertono senza di me facendo questo o quello? Perché sono diventato apatico, parte del problema, e fanno qualcosa che io non posso più fare: coltivare delle passioni. Le mie passioni sono inaridite, secche, stanche e morte. Non suono da tantissimo tempo, provo solo agonia nel pensarci, e fino a qualche anno fa era per me ragion di vita. Diavolo, ho vinto fior di concorsi internazionali di composizione, non ero manco male. Eppure non ricordo neanche più quand’è stata l’ultima volta in cui ho composto un pezzo, brutto o bello che sia.

Certo, ho coltivato altre passioni, ho lavorato, ho curato una relazione stabile con la mia ragazza, però… davvero stiamo dicendo che video editing e gaming montage era esattamente ciò che volevo fare come passatempo? Davvero mi state dicendo che nonostante i miei ottimi scritti, sarei finito a scrivere script per un mio canale YouTube? Davvero, tra tutti i musicisti della demoscene che conosco, molti ne vivono, due hanno fondato una casa discografica, e io sono l’unico che non suona più nemmeno per divertimento? Cosa c’è di diverso tra me ed il resto del mondo?

L’Italia. Patria dei demotivatori. Di quelli che “lo fai solo per farti notare”, di quelli che “trovati un lavoro di giorno”, di quelli che “si, vabé, mo’ tra tutti i musicisti/disegnatori del mondo vinci proprio tu”. Non importa se effettivamente si, ho vinto proprio io, perché irrimediabilmente, anche se supponiamo il contrario, arriva per tutti il tempo in cui si viene spezzati dal peso dei demotivatori. L’unica speranza è lasciarli al loro piccolo stato ed emigrare. Eppur son sempre tornato, convinto di dover cacciare i ladri dall’Italia, del non dover più lasciar accadere che i migliori abbandonassero la terra in cui sono nati a causa della merda che li circonda. Avevo ragione, ma quanto avevo torto. È ancor facile liberarsi dai criminali, ma come puoi mai liberarti dal provincialismo? Dalle accuse di populismo? Dai “meglio pedofilo che ricchione”? Dagli “in fondo in fondo era un po’ puttana e ci stava, altro che stupro”? Da “l’evasione fiscale è un sistema legittimo per liberarsi dall’oppressione fiscale”? Dal “non mi preoccupo, perché in fondo mi rimane Dio”? Dal “tutta colpa dell’Euro”? Dal “tutta colpa della Merkel”? Dal “si stava meglio quando si stava peggio”? Dal “Dux Mea Lux”? Dal “questi cazzo di comunisti andrebbero impiccati uno a uno, dai retta a me”?

Noi siamo l’Inferno che avete dentro, noi siamo il sogno che non vivrete mai. Noi siamo lo specchio che non guardate per non riconoscervi in lui.

Citando Caparezza, è tutta colpa mia, faccio il mea culpa per la situazione che mi aveva tolto la gioia di vivere. Perché in fondo so, al contrario dei mangiatori di fango e merda che mi circondano, che tutto ciò che succede non è colpa di altri, è colpa nostra. È colpa mia. Perché se non si è parte della soluzione, allora, si è solamente ed inevitabilmente parte del problema.

Io sarò per sempre un mostro orribile, come puoi amare me?

Final Fantasy XIII

I miei commenti sul gioco in una maniera molto sintetica.

Cosa penso della grafica:
Molto bella.

Cosa penso della musica:
La maggior parte passa senza che nessuno se ne accorga. Non ci sono canzoni che ti tirino dentro come, per esempio, The Man With the Machine Gun. Inoltre, quella che ho rinominato “la canzone dell’ascensore”, in una delle zone di Pulse, è molto bella anch’essa. L’unica cosa che ho veramente odiato è che all’inizio, incluse le scene iniziali, le canzoni sembravano praticamente PROVENIRE TOTALMENTE da un tema musicale di Ace Combat più che un tema RPG, e la cosa mi ha fatto venire una voglia tremenda di prendere AC5, lasciare FFXIII e giocare quello.

Cosa penso della storyline:
La storyline di per se inizia in una maniera molto contorta, ma essendo un fan di Stephen King mi piacciono questi inizi. Non mi è piaciuta particolarmente l’evoluzione che si riflette nei combattimenti durante il disco 2 (più o meno), ma a parte quello è molto intrattenente e letteralmente ti trascina dentro. Una storyline molto, molto bella. La potrei paragonare a quella di Ace Combat 5 per la sua profondità, ed è un complimento.

Cosa penso delle ore di grinding necessarie in alcuni punti del gioco:
AAAAAAAAAAAAAARGGHHHHHHH. Ho speso circa 12 ore sull’end-game pre-boss per il farming di PC e qualcosa attorno alle 6-8 ore per le missioni iniziali di Pulse (e dato che la storyline è finita ma il gioco no, altre ore di grinding mi aspettano), che mi hanno totalmente lasciato attonito, dato che non mi entrava nell’anticamera del cervello di dover passare forzatamente attraverso missioni casuali per poter essere abbastanza “potente” da continuare, come in un metodo di livellamento standard di un MMORPG. Ehi, ho abbandonato quella roba già da un po’. Seriamente, l’idea di base del “aspetta, devi grindare per proseguire” imposto al giocatore mi ha fatto piangere. Tanto.

Cosa penso della mancanza di esplorazione del mondo:
Una delle feature che amavo di più nei Final Fantasy precedenti era che potevo, in qualunque momento, fermarmi e non fare qualunque cosa la storyline mi chiedesse di fare e passare ai miei affari. La gente che mi ha visto giocare a FF8 per esempio, sa perfettamente che semplicemente adoravo il gioco di carte. Nel mio secondo playthrough che è arrivato anni dopo, prima di raggiungere il Disco 2 avevo già la maggior parte delle carte che erano disponibili nell’arco dei 4 dischi, ed ero già pronto per battere qualunque membro del Club delle Carte appena si fossero mostrati. Detto questo, forse sapendo già che l’esplorazione non era più possibile prima di comprare il gioco, devo ammettere che la possibilità non mi è mai mancata particolarmente. Per coincidenza la parte che più mi ha fatto soffrire è stata Grand Pulse. Se arrivi a questo gioco pensando che sia un “tipico” FF rimarrai enormemente deluso. Ma se, come me, ti è forse piaciuto Final Fantasy: Crisis Core per PSP, allora probabilmente ti piacerà anche questo FF.

Conclusioni?
Ci sarebbe altro di cui parlare, come l’upgrade degli oggetti (ho anche creato un foglio di calcolo per aiutarmi), ma non è questo il momento. In linea di massima mi è piaciuto molto questo gioco. Mi sono mancate alcune feature delle serie precedenti, così quanto ho odiato alcune nuove che sono state introdotte, ma al fin della fiera è il divertimento quello che conta, giusto? Almeno lo era l’ultima volta che ho controllato. E mi sono divertito, anche se alcune delle parti che richiedevano grinding mi hanno fatto piangere e sanguinare gli occhi, mi è piaciuto ugualmente. E tanto per la cronaca, anche se il gioco è finito, continuerò a giocarlo fino a che ogni singolo obiettivo non sarà stato distrutto. Nemmeno il mio OCD me lo avrebbe fatto fare se il gioco avesse fatto schifo. Cosa che non è.

Anche i gabbiani dormono

Oggi ho visto Rattle and Hum, e d’improvviso m’è salita l’angoscia, la tipica angoscia che mi assale in certi momenti. Tanta è stata la botta che ho deciso, alle 5:00 di mattina, di rivestirmi, entrare in macchina ed uscire di casa. Tra me e me pensavo “ci son due tipi di persone che escono alle 5 di casa: i ladri ed i fornai”, frase che per la prima volta capii essere errata, in quanto avevo tralasciato gli addetti ai pescherecci. Ma divago.

Nel lento aspettar ch’il sol sorgesse, navigavo a pel di memoria. Ricordi di un’era passata, seppur trattasi di pochi anni fa. Chiamate oltre oceano ad arzille ragazze sparse un pò per i continenti, lunghe/semieterne passeggiate, albe e tramonti, liriche e prose, amici e vizi. Un pò come l’acqua marina mattutina, che va sia al largo che a riva. Il vento che increspa e muove l’acqua portandola verso il largo, quella stess’acqua che incessantemente spinge se stessa verso la riva, ed il tutto a pel d’acqua, tanto più che si stenta a capir cosa va dove, eppur si scorge l’acqua andare in tutte e due le direzioni contemporaneamente. Allo stesso modo la mia anima va dalla parte opposta del mio corpo, tanto più che fatico a capir chi abbia torto, ma forse entrambi han ragione, “come due tipi che discutono e nessuno ha ragione, on and on and on and on”.

E di lì a poco capii altresì che, così come i ricchi piangono, i gabbiani dormono, anche se hanno la sveglia puntata all’alba. Così come i corvi, anche se non ho capito cosa ci facessero i corvi in spiaggia coi gabbiani. Ma divago, tanto per cambiare.

La rabbia montava in me mentre realizzavo di non essere affatto cambiato. Sono solo un pò più ricco, un pò meno solo, con un pò meno amici, ma con gli stessi talenti. E mi sento come nella parabola dei talenti. In parte prego affinché morte o apocalisse arrivino presto a livellare le anime, affinché io possa giustificarne il seppellimento o, quantomeno, il non utilizzo. Se da una parte non credo in Dio quindi, dall’altra spero esista. Il che, per me, è quantomeno strano.

Il sole si leva, asciugando le lacrime porte al vento, lasciando iniziare un nuovo giorno. A cui seguirà un nuovo pomeriggio, una nuova sera, ed una nuova notte.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Soldati, alle Armi

Non so per quanto tempo ancora reggerà questo piccolo luogo nefasto a forma di stato che i più arditi chiamano Italia. Vedo una costante presenza di forma vitale (più o meno) dallo scarso intelletto e dalla scarsa consapevolezza che i più (in ogni senso, spesso negativo) chiamano italiani.

Questo piccolo paese, governato da piccole persone con piccole menti, e guarda caso dedita alla piccola criminalità sta collassando. E tutto ciò che ne esce è un’ennesima caccia alle streghe. O per dirla in termini un po’ più aggiornati, una mediatica caccia allo straniero.

Ah, e m’ero quasi scordato la “corsa alla solidarietà all’Abruzzo”. Io di notte dopo qualche scossa che purtroppo sento ancora, ogni tanto mi metto a piangere. Ricordo la gente che lodava il governo, lodava la protezione civile, lodava tutti, e nello stesso tempo parte della mia famiglia moriva sotto le macerie, non perché non ci fosse gente o perché non potesse essere aiutata, ma perché non erano autorizzati a farlo.

“Big deal” direte voi, ma cosa significa? Significa che la gente che sapeva che altra gente era sotto quelle macerie ha dovuto aspettare che ne estraessero i cadaveri. Significa che i vicini, i parenti, chiunque fosse per strada che volesse aiutare scavando con mani e denti se necessario per aiutare quelle persone è stato fermato dalle autorità. E le autorità non potevano intervenire perché non erano autorizzate dalla protezione civile. E la gente che doveva dare l’autorizzazione era scappata alle 10 a Roma, perché “non c’è alcun pericolo” vale solo per i civili, non per le autorità. E la gente, i vicini di casa lì fuori, ad aspettare dalle 6 le 7 di mattina, senza poter fare nulla, senza poter aiutare nessuno, ad aspettare fino a che alle 5 di pomeriggio non hanno estratto 5 cadaveri da quelle stesse macerie, incluso un cazzo di bambino di 10 anni, che se fosse stato aiutato per tempo si sarebbe quasi sicuramente salvato.

E nonostante tutto questo, la povera gente come me deve sentir parlare dei coglioni (e non in quanto comunisti, ma in quanto tali) che lodano chiunque, che non sanno come stanno le cose, che parlano per sentito dire e luoghi comuni, che assaltano qualunque preda venga fornita loro, non perché vogliano farlo ma perché sentono di doverlo fare, anche se non sanno con chi lo stanno facendo, ma è stato indicato loro, quindi deve essere per forza essere colpevole.

Se tacci tali persone di essere xenofobe o semplicemente stupide avrai la risposta standard: “non sono io il razzista! sei tu il comunista/protettore di questi animali/”. Se tacci queste persone di essere degli idioti che parlano parlano solo per dare aria alla bocca, come dei pappagalli ammaestrati, senza conoscere i fatti, ti diranno che loro li conoscono benissimo, sei tu a non conoscere i fatti e/o ad essere un dannato comunista. Oppure, cosa che non sentivo più dal ventennio (anche se non posso dire di averlo sentito di mio, ma le registrazioni esistono per questo), di non essere degno/fiero di essere italiano o, Dio ce ne scampi, di essere un nemico dell’Italia.

Vane sono le richieste di usare il proprio cervello al posto di essere dipendenti dai pensieri altrui. “Cervello?” ti risponderebbero, “Che cos’è un cervello? A cosa serve? Siamo nel nuovo millennio, non siamo noi a pensare, sono gli statisti/mediatici a dir noi a cosa dobbiamo pensare. E poi era scritto anche nel giornale, perciò dev’essere tutto vero!”. O no?

Come disse il saggio, tutti i discorsi xenofobi iniziano con “Io non sono razzista”. E per citare nuovamente Eleanor Roosvelt (spero mi perdoni per l’uso spropositato che faccio di questa sua frase): “Le grandi menti parlano di idee, le menti mediocri parlano di fatti, le menti povere parlano di persone”.

Sempre più spesso mi trovo a rimpiangere la vecchia Italia della “pizza, spaghetti e mandolino”. Mi ritrovo in una Italia in cui gli spaghetti sono stati rimpiazzati dagli hamburger ed il mandolino dal manganello. E la cosa più triste è che a quasi tutti piace questa nuova Italia. Non importa se (perdonatemi il paradosso) avanziamo verso un’arretratezza che mai al mondo avrei sognato. Quello che ai nostri occhi appare è solo un benessere globale tutto nostro, che gli altri (dannati extracomunitari!) vorrebbero anche per loro, ma che è solo nostro, ed allora sono anche disposti a rubarcelo! Che in realtà siano cazzate non importa a nessuno, perché nel paese dell’omertà, ognuno si fa i cazzi propri.

Tanto per citare esempi di “criminalità straniera”: a Trieste poco tempo fa un tunisino è stato rapinato da un triestino. A Napoli una coppia di giovani turisti è stata rapinata, ma sono riusciti a fermare il ladruncolo: vedendo arrivare la gente pensarono, come riportato anche ai giornali “ma tu guarda, non è vero quello che dicono degli italiani, che sono tutti criminali e roba del genere, ci stanno venendo tutti ad aiutare”. Poi li hanno picchiati (i napoletani ai turisti), hanno ridato la refurtiva al ragazzino, l’hanno fatto scappare, hanno continuato a picchiare i turisti e poi sono scappati.

Vorrei chiudere questo post (evitando altre riflessioni che non sono ancora disposto a rendere pubbliche) con una frase di Einstein: “Non so con quali armi si combatterà la terza guerra mondiale, ma so che la quarta verrà combattuta con pietre e bastoni”.

Ed io sono qui, in attesa di un cenno, armato fino ai denti e pronto alla guerra.

Si accendano le luci, si alzi il sipario, che entrino gli attori.